Date

2018 - 2019

Regione

Campania

Stato

Italia

Extra Content


Element
Element

Questo capitolo di Digging-Up. Atlas of the Blank Histories si è basato su un’indagine conoscitiva del territorio della città antica e contemporanea di Pompei, alla ricerca di narrazioni e storie sconosciute, omesse o dimenticate, intrecciate con la memoria ma anche con possibili narrazioni, ipotesi e interpretazioni. Queste storie, considerate minori ma che fiancheggiano la Storia, sono impresse e sedimentate nel sottosuolo e sono state riportate alla luce e mappate attraverso una serie di carotaggi, facendole emergere dalla terra che le ha sepolte.

Dal rinvenimento nel 1936 dell’enigmatico quadrato magico (con l’iscrizione TENET) su una colonna della Palestra Grande dell’antica Pompei, al lago d’Averno dove il poeta Virgilio situa l’accesso al regno dell’oltretomba da parte di Enea e a cui è legato un sortilegio della Fata Morgana, passando per l’abusivismo edilizio e l’occultamento del sito archeologico rinvenuto a Pollena Trocchia fino all’Osservatorio Vesuviano. L’unicità del territorio è definita da racconti, documenti e leggende tramandati dagli abitanti del posto, che hanno guidato l’individuazione delle aree presso cui sono state effettuate le estrazioni.
I carotaggi all’interno del Parco Archeologico di Pompei sono stati condotti presso: Palestra Grande, Torre di Mercurio, Villa di Diomede, Foro Triangolare. In aree esterne, ma di competenza del Parco Archeologico di Pompei, gli interventi di carotaggio sono stati realizzati presso: Santuario Extra Urbano di Fondo Iozzino (Pompei), Villa Sora (Torre del Greco), Villa San Marco (Castellammare di Stabia). Sul territorio amministrato dal Comune di Pompei, presso le località di Messigno e in prossimità della Cappella della Giuliana. Ulteriori interventi sono stati condotti presso il Parco Archeologico di Ercolano e sul territorio dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Durante la fase di ricerca altre aree sono state individuate attraverso la raccolta di materiale documentario e sopralluoghi, senza che vi si potessero effettuare i relativi carotaggi a seguito delle pratiche connesse ai permessi per effettuarli. Tra esse: il Cripto Portico (Napoli) nell’area archeologica di San Lorenzo Maggiore dove sono visibili i resti dell’antico Foro di Neopolis, Porta Nocera (Pompei), dove nel 1979 sono stati rinvenuti due corpi perfettamente integri di uomini in fuga dall’eruzione dal Vesuvio e il Ponte della Maddalena (Napoli), luogo legato al miracolo del sangue di San Gennario, e ancora i Bagni della Regina Giovanna (Sorrento), i serbatoi di Nervi (Pozzuoli), la solfatara (Pozzuoli), la Villa Augustea (Somma Vesuviana), Capo Miseno (Bacoli) e Pollena Trocchia (Napoli).

I carotaggi estratti, dopo essere stati esaminati da un geologo, sono stati esposti all’interno dei loro contenitori standard presso alcuni ambienti di Villa Arianna (Castellammare di Stabia), in occasione della mostra DIGGING UP. ATLAS OF THE BLANK HISTORIES/Indagare il sottosuolo. Atlante delle storie omesse (25.10-18.11.2018). Compresa nel complesso archeologico dell’antica Stabiae, la villa racchiude l’essenza stessa del progetto, sia per la sua storia, sia per la sua posizione. Edificata sulla collina di Varano a partire dal II secolo a.C., Villa Arianna fu ampliata nel corso degli anni con diversi ambienti di rappresentanza, anche se è impossibile determinare la sua esatta estensione, poiché ampie parti delle stanze più vicine al mare sono franate dalla scogliera. Colpita dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., la Villa fu individuata ed esplorata in epoca borbonica, nella seconda metà del XVIII secolo, depredata delle sue suppellettili e dei suoi affreschi più preziosi, poi nuovamente sepolta, per essere riportata alla luce solo a partire dal 1950. Con le sue alterne vicende, Villa Arianna incarna una storia che narra di un lussureggiante mondo antico obliterato dall’eruzione, della sua riscoperta e della sua spoliazione, delle indagini archeologiche e del suo abbandono, dell’oblio, dell’incuria fino al recente restauro.

In seguito all’esposizione, i carotaggi sono stati riposti all’interno di un contenitore in ferro, sigillato e sotterrato, trasformandosi in una Time Capsule, una “macchina del tempo”. Essa è stata sepolta in un punto sulle pendici del vulcano all’interno dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, segnalata da una lastra in pietra lavica locale con incise sulla superficie le date di sotterramento e di riesumazione, quest’ultima prevista dopo un secolo, e le cui coordinate di geolocalizzazione sono state trasmesse all’International Time Capsule Society (ITCS) di Atlanta. In corrispondenza di ogni punto di carotaggio sono state apposte le placche che riportano i dati dell’estrazione, creando un museo diffuso del territorio locale a partire dal Parco Archeologico di Pompei fino alle aree alle pendici del Vesuvio.

L’esposizione a Villa Arianna è stata preceduta da una presentazione a Palermo, durante Manifesta 12, in cui per nove giorni (16-24.06.2018) è stata mostrata la metodologia di ricerca su cui è basato il progetto Digging-Up, condividendo con il pubblico il processo di un operare che indaga la storia di un territorio attraverso il reperimento, l’analisi, la selezione e la condivisione delle vicende meno note che vi si sono svolte. Nella mostra a Palermo, una vicenda emersa durante le ricerche condotte a Pompei è stata messa a confronto con l’attività e la storia del Monte dei Pegni di Santa Rosalia in Palazzo Branciforte, che ha ospitato l’esposizione. Entrambe le storie ruotano intorno a oggetti, alla loro presenza e assenza: i reperti del Parco Archeologico di Pompei, trafugati e restituiti in tempi recenti perché ritenuti portatori di malocchio, di malasorte, come testimoniano le lettere che accompagnano la loro stessa restituzione, e gli oggetti dati in pegno, per varie necessità contingenti, al Monte di Pietà, andati distrutti a causa dell’incendio accidentale scoppiato durante i moti rivoluzionari del 17 gennaio 1848. Come i reperti antichi, estrapolati dal loro contesto originario, sono dei frammenti, tessere di un mosaico impossibile da ricostruire con certezza e solo ipotetico, così anche gli effetti personali depositati al Monte e andati poi perduti possono essere soltanto immaginati attraverso le descrizioni riportate nei registri dell’ente.

Il progetto – promosso dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee/Madre, museo d’arte contemporanea della Regione Campania, e dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino – è il vincitore della seconda edizione del bando Italian Council 2017, concorso ideato dalla Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane (DGAAP) del Ministero Beni e delle Attività Culturali per promuovere l’arte contemporanea italiana a livello internazionale. Il progetto è stato realizzato – con il coordinamento di Anna Cuomo e la supervisione scientifica di Andrea Viliani per il museo Madre – in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei (a cui l’opera è stata donata nell’ambito del bando Italian Council 2017) e in sinergia con Comune di Pompei, Parco Archeologico di Ercolano, Ente Parco Nazionale del Vesuvio, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, con la collaborazione di Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, Chiesa di Napoli e Comune di Pozzuoli.